ISSN 2385-1376La stipula della fideiussione in un contratto di mutuo nella forma dell’atto pubblico esclude per principio l’esistenza di clausole vessatorie ma potrebbe essere viziata da clausole abusive ove conclusa tra un “professionista” e un consumatore.
L’applicabilità della disciplina consumeristica può escludersi se e in quanto il consumatore abbia avuto la possibilità di concretamente incidere, anche provocandone la modifica o l’integrazione, sul contenuto del contratto da tali soggetti predisposto. Nel caso di fideiussione redatta per atto pubblico, l’intervento del notaio non implica affatto che il contratto sia oggetto di trattativa, segnatamente, di una trattativa qualificata da individualità, serietà ed effettività. Nulla esclude, in particolare, che il testo della clausola vessatoria, conosciuto dal consumatore e reso più chiaro dall’intervento del notaio, sia frutto di una imposizione unilaterale e non costituisca pertanto espressione di una trattativa che presenti le richiamate caratteristiche: la stipula del contratto con atto pubblico notarile non è in conclusione circostanza in sé idonea a far ritenere che una o più clausole del contratto stesso siano state oggetto di trattativa individuale, seria ed effettiva e non esime pertanto il professionista dal fornire una prova in tal senso.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Pres. Di Marzio – Rel. Falabella, con l’ordinanza n. 18834 del 10 luglio 2025.
Il creditore intimava un atto di precetto in danno dei fideiussori che avevano rilasciato la garanzia con atto pubblico relativamente ad un mutuo fondiario.
Il Tribunale rigettava l’opposizione ex art. 615 c.p.c. proposta dai fideiussori e la Corte di Appello respingeva il gravame avverso la pronuncia di primo grado.
Avverso tale decisione i fideiussori ricorrevano in Cassazione con sei motivi.
Nel quinto motivo i ricorrenti denunciavano la violazione del D.Lgs. n. 206 del 2005. Si rilevava, in particolare che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello, i ricorrenti andavano considerati come persone fisiche, non rappresentando alcuna società commerciale, onde rientravano nella categoria dei privati consumatori.
Veniva inoltre osservato che le disposizioni che limitavano la facoltà, in capo al garante, di opporre eccezioni, come anche il suo potere di far valere la decadenza di cui all’art. 1957 c.c., integravano clausole abusive, secondo il codice del consumo. Si aggiungeva che la maggiorazione prevista in contratto in caso di mora e le relative penali e maggiorazioni, così come le rinunce ai diritti sanciti dal codice civile, (costituivano) senz’altro clausole vessatorie, che per essere efficaci ed applicabili dovevano essere oggetto della prova di avvenuta specifica trattativa.
Il Supremo Consesso ha ritenuto il motivo fondato, affermando che l’art. 34 cod cons. dispone che nel contratto concluso mediante la sottoscrizione di moduli e formulari predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali, incombe sul professionista l’onere di provare che clausole ed elementi di clausola siano stati oggetto di specifica trattativa.
Ciò non significa, tuttavia, che nel caso di contratti diversi da quelli standard incomba al consumatore che agisce in giudizio dare la prova negativa riguardo alla trattativa. Come già chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, la trattativa non costituisce elemento costitutivo della vessatorietà, bensì rileva quale presupposto oggettivo di esclusione dell’applicazione della disciplina di tutela in questione opera, cioè come fatto impeditivo; sicché, mentre incombe al consumatore che agisce in giudizio per la declaratoria di inefficacia della clausola allegare e provare che ricorrono i presupposti ed i requisiti necessari e sufficienti per pervenire alla declaratoria domandata, e cioè che il contratto è stato predisposto dal professionista che lo utilizza nel quadro della sua attività professionale, e che le clausole costituenti il contenuto del contratto corrispondono a quelle vessatorie di cui dell’art. 33, comma 2, e 36, comma 2, c. cons., compete in ogni caso al professionista dare la prova positiva di tale fatto impeditivo, integrato dallo svolgimento di una trattativa connotata dai connotati della individualità (per investire (le) clausole o (gli) elementi di clausola costituenti il contenuto dell’accordo, presi in considerazione singolarmente e nel significato che assumono nel complessivo tenore del contratto), della serietà (per essere la contrattazione svolta dalle parti mediante l’adozione di un comportamento obiettivamente idoneo a raggiungere il risultato cui è diretta) e dell’effettività (per risultare la detta trattativa non solo storicamente ma anche in termini sostanziali effettuata, nel rispetto della autonomia privata delle parti, riguardata non solo nel senso di libertà di concludere il contratto ma anche nel suo significato di libertà e concreta possibilità anche per il consumatore di determinare il contenuto del contratto).
La disposizione contenuta nell’ultimo comma dell’art. 34 cit. non deve quindi indurre a credere che la distribuzione dell’onere probatorio ivi prevista operi solo con riguardo ai negozi conclusi con l’uso di moduli o formulari e difatti la giurisprudenza di legittimità non distingue, con riguardo alla tematica che interessa, tra contratti standard e contratti predisposti per singoli affari.
Tale regola non subisce deviazioni nella particolare ipotesi in cui il contratto sia concluso nella forma dell’atto pubblico.
Infatti, la Corte si era già pronunciata con riguardo all’ipotesi in cui il testo contrattuale sia redatto, su incarico di una o di entrambe le parti, da un notaio o da altri professionisti, quali ad esempio un avvocato o un commercialista si è rilevato, in proposito, che l’applicabilità della disciplina consumeristica può ritenersi in tal caso esclusa se e in quanto il consumatore abbia avuto la possibilità di concretamente incidere, anche provocandone la modifica o l’integrazione, sul contenuto del contratto da tali soggetti.
Il principio merita adesione con particolare riguardo alla fattispecie della stipula del contratto del consumatore nella forma dell’atto pubblico notarile.
Se è vero, infatti, che la legge notarile (l. n. 89/1913) predispone particolari accortezze per la redazione dell’atto, imponendo ad esempio al notaio di indagare la volontà delle parti, di curare sotto la propria direzione e responsabilità la compilazione integrale dell’atto stesso (art. 47, comma 2), oltre che di darne lettura (art. 51, n. 8) e di assicurarne la sottoscrizione in margine di ciascun foglio (art. 51, n. 12), l’intervento del notaio non implica affatto che il contratto sia oggetto di trattativa, segnatamente, di una trattativa qualificata da individualità, serietà ed effettività. Nulla esclude, in particolare, che il testo della clausola vessatoria, per conosciuto dal consumatore e reso più chiaro dall’intervento del notaio, sia frutto di una imposizione unilaterale e non costituisca pertanto espressione di una trattativa che presenti le richiamate caratteristiche.
La stipula del contratto con atto pubblico notarile non è in conclusione circostanza in sé idonea a far ritenere che una o più clausole del contratto stesso siano state oggetto di trattativa individuale, seria ed effettiva e non esime pertanto il professionista dal fornire una prova in tal senso.
La Corte ha, pertanto, accolto il quinto motivo, respinto i primi due e dichiarato inammissibili i restanti; ha cassato la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
TANTO AL FINE DI CONSENTIRE AL GIUDICE DEL MONITORIO DI VALUTARE D’UFFICIO LA RICORRENZA DI POTENZIALI CLAUSOLE ABUSIVE NEL CONTRATTO
Decreto | Tribunale di Varese, Giudice Marta Maria Recalcati | 27.06.2023 |
OCCORRE CHE IL DEBITORE SI SIA QUALIFICATO COME CONSUMATORE, INDICANDO LE CLAUSOLE DEL CONTRATTO DI CUI INTENDE FAR ACCERTARE L’ABUSIVITÀ
Sentenza | Corte di Appello di Milano, Pres. Rel. Massimo Meroni | 18.07.2023 | n.2343
LA TUTELA CONSUMERISTICA NON HA EFFICACIA RETROATTIVA RISPETTO ALLA LEGGE N. 52/1996
Sentenza | Tribunale di Roma, Pres. Basile- Rel Martucci | 18.07.2023 | n.11444
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