
L’acquisizione dell’immobile abusivo al patrimonio disponibile del Comune, in quanto acquisto a titolo derivativo, non determina l’estinzione dell’ipoteca precedentemente iscritta a favore del creditore non responsabile dell’abuso. L’esecuzione forzata non è, dunque, improcedibile. L’estinzione dell’ipoteca conseguirà, tuttavia, nel caso in cui il Comune abbia attratto l’immobile nel proprio patrimonio indisponibile, integrando così un acquisto a titolo originario, previa attestazione dell’esistenza di prevalenti interessi pubblici alla sua conservazione.
L’art. 7, terzo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, nella parte in cui non fa salvo il diritto di ipoteca iscritto a favore del creditore non responsabile dell’abuso edilizio e iscritto in data anteriore alla trascrizione dell’atto di accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione a demolire, è incostituzionale. La confisca edilizia non può estinguere automaticamente il diritto di ipoteca del creditore non responsabile dell’abuso.
La presenza di un abuso edilizio non incide sulla circolazione e sulla tutela del credito ipotecario, le cui facoltà si fanno valere in sede espropriativa, nel rispetto della normativa urbanistico-edilizia, non essendovi valide ragioni per cui il creditore ipotecario, non responsabile dell’abuso edilizio, debba essere pregiudicato solo perché l’immobile abusivo viene confiscato dal comune per effetto di una sanzione inflitta per l’inottemperanza a un ordine di demolizione, di cui altri devono rispondere.
L’irragionevolezza del sacrificio imposto dalla norma censurata al creditore ipotecario non responsabile dell’abuso edilizio, trova conforto anche nell’ulteriore considerazione per la quale il titolare del diritto di ipoteca – a fronte di una norma che non facesse salvo il suo diritto reale – si vedrebbe, infatti, costretto a una continua vigilanza sull’immobile, onde poter chiedere all’autorità giudiziaria la cessazione di quegli atti del debitore o di terzi che, in quanto idonei a creare i presupposti della confisca edilizia, sarebbero tali da cagionare il perimento giuridico del bene e, con esso, l’estinzione della sua garanzia (art. 2813cod. civ.).
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Pres. D’Ascola – Rel. Criscuolo, con l’ ordinanza n. 10933 del 25 aprile 2025.
Accadeva che una società notificava un decreto ingiuntivo nei confronti dei propri debitori in virtù di un credito sorto tra il 16 luglio 1984 e il febbraio 1985, con il quale si intimava il pagamento della somma di Lire 222.420.647 (pari ad euro 114.870,68), oltre accessori e spese.
In forza del suddetto decreto, notificato il 23-25 giugno 1993, il 21 gennaio 1994 la società creditrice aveva iscritto ipoteca su un fondo di proprietà dei debitori, esteso per mq 1.150. Dopo tale iscrizione, il credito veniva ceduto.
Con provvedimento del 22 settembre 1994, di otto mesi successivo all’iscrizione dell’ipoteca, il comune nel quale era situato il fondo, trascriveva provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio del Comune, ai sensi dell’art. 7 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, di un immobile costruito sul fondo in assenza di autorizzazione, unitamente “all’area di sedime e pertinenziale” circostante l’immobile abusivo.
A seguito di precetto notificato il 6-8 aprile 2013, la cessionaria, con atto di pignoramento del 4 luglio 2013, iniziò l’esecuzione forzata pignorando sia il terreno, nei confronti dei debitori, che il fabbricato sullo stesso realizzato, nei confronti del Comune, ed in data 22 ottobre 2013 la società ricorrente rinnovava l’ipoteca giudiziale iscritta sul fondo.
Il giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 16 giugno 2017, rigettava l’istanza di vendita proposta dalla cessionaria, dichiarando “improseguibile” l’esecuzione forzata, sul presupposto che l’acquisizione al patrimonio del Comune dell’immobile abusivo aveva comportato l’estinzione dell’ipoteca iscritta sul fondo sul quale l’immobile era stato edificato.
La società cessionaria proponeva, allora, opposizione agli atti esecutivi avverso la suddetta ordinanza, la quale veniva rigettata sul presupposto che: 1) l’acquisizione al patrimonio del Comune di un immobile abusivo costituisce un modo di acquisto a titolo originario, con cancellazione di tutti i diritti reali di garanzia gravanti sul bene, senza che rilevi l’eventuale anteriorità della relativa trascrizione o iscrizione; 2) nel caso di specie “non sembrano emergere altre aree non colpite dal provvedimento comunale”; 3) è irrilevante che il creditore ipotecario – il quale, non potendo disporre del bene ipotecato, nemmeno può ritenersi inciso dal provvedimento ablatorio – non abbia avuto notizia del procedimento ablatorio e del provvedimento che lo concluse, “non avendo alcuna legittimazione ad impugnare” tali provvedimenti dinanzi al giudice amministrativo.
Il Tribunale, infine, riteneva infondate le argomentazioni con le quali la parte opponente aveva prospettato profili di legittimità costituzionale della normativa in questione, perché l’ipoteca, pur essendo un diritto reale, “non conferisce poteri o facoltà di godimento del bene ipotecato“.
Avverso la sentenza, la cessionaria proponeva ricorso per cassazione, basato su quattro motivi.
La Terza Sezione Civile della Suprema Corte, con ordinanza interlocutoria del 30 dicembre 2022, n. 38143, rimetteva gli atti al Primo Presidente ai fini dell’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, ravvisando una questione di massima di particolare importanza in ordine alla decisione del quarto motivo di ricorso.
In tale motivo, infatti, si lamentava, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art 117 Cost in relazione all’art. 7 CEDU e agli artt. 1 e 6 del Protocollo addizionale in quanto la soluzione adottata dal Tribunale avrebbe avuto per effetto di privare il creditore ipotecario, incolpevole ed ignaro, della garanzia reale di cui era titolare. Aggiungeva la ricorrente che le garanzie reali dei crediti godono delle medesime garanzie accordate dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo al diritto di proprietà, con la conseguenza che quelle garanzie non possono essere espropriate senza tutele e senza contropartita.
Concludeva perciò sostenendo che, avendo il giudice nazionale il dovere di interpretare la norma interna in conformità ai princìpi della CEDU, il Tribunale avrebbe dovuto, alternativamente, o ritenere nulli i procedimenti ablatori cui il creditore ipotecario non sia stato messo in condizione di partecipare ovvero consentire al creditore ipotecario di proseguire l’esecuzione anche nei confronti dell’Amministrazione comunale.
Come extrema ratio si riteneva che il Tribunale avrebbe dovuto sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge n. 47 del 1985 e dell’art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001.
La Suprema Corte ha affermato che le soluzioni alternative proposte per assicurare una tutela al creditore ipotecario – e precisamente o quella di far valere il proprio diritto reale di garanzia sulla sola parte del terreno che eccede il decuplo dell’area di sedime acquisibile insieme all’immobile, o quella di chiedere il risarcimento del danno conseguente al fatto che l’acquisizione al patrimonio del comune ha determinato il venir meno della garanzia della quale egli disponeva – sono state reputate non prive di criticità e comunque inappaganti per il terzo.
Infatti, la prima potrebbe essere frustrata per il fatto che l’acquisizione dell’immobile con l’area di sedime coincida con l’acquisizione dell’intero terreno sul quale grava la costruzione, e senza contare che, anche ammettendo che residui una quantità di terreno significativa, il creditore ipotecario vedrebbe comunque fortemente ridimensionata la sua garanzia, dal momento che l’espropriazione di una parte di un terreno sul quale è stato costruito un immobile abusivo, la cui demolizione può essere disposta solo dal comune che ne è proprietario, rende quel terreno di valore assai minore. La seconda non tiene conto del dato evidente della diversità esistente tra un diritto reale di garanzia come l’ipoteca e la necessità di intraprendere un giudizio risarcitorio, nel quale potrebbe, tra l’altro, non essere pacifica l’identificazione del soggetto responsabile.
A seguito di una attenta disamina della normativa vigente in materia e degli sviluppi giurisprudenziali susseguitisi nel tempo, le Sezioni Unite hanno affermato che a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale con la sentenza n. 160 del 2024, che ha dichiarato incostituzionale l’art. 7, terzo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, risulta superata l’interpretazione che della norma aveva offerto il giudice di merito, emergendo con evidenza l’erroneità dell’esito cui era approdato il Tribunale, dovendosi pertanto accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, pervenendo alla cassazione della sentenza impugnata.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
IL CREDITORE IPOTECARIO NON PUÒ SUBIRE LE CONSEGUENZE SANZIONATORIE DI UN ABUSO EDILIZIO AL QUALE È DEL TUTTO ESTRANEO
Sentenza | Corte Costituzionale, Pres. Barbera – Rel. Navarretta | 03.10.2024 | n.160
ESECUZIONE FORZATA: LA NATURA ABUSIVA DEL BENE NON INFICIA IN ALCUN MODO LA VENDITA FORZATA
L’ABUSIVITÀ DEVE EMERGERE AL FINE DI RENDERE NOTO LO STATUS DELL’IMMOBILE AI POTENZIALI OFFERENTI IN SEDE DI VENDITA
Ordinanza | Tribunale di Napoli, Giudice Mario Ciccarelli | 26.02.2020 |
ASTE, L’IMMOBILE ABUSIVO PUO’ ESSERE VENDUTO
LA PROCEDURA CONSENTE LA COMMERCIABILITÀ PURCHÈ CI SIANO LE CONDIZIONI PER IL RILASCIO DELLA SANATORIA
Articolo Giuridico | Il Mattino, Legalmente | 23.02.2020
https://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/aste-limmobile-abusivo-puo-essere-venduto
IMMOBILE ABUSIVO: IMPIGNORABILE IN IPOTESI DI ACQUISIZIONE AL PATRIMONIO COMUNALE
SI REALIZZA UN ACQUISTO A TITOLO ORIGINARIO CHE LO TRASFORMA IRREVERSIBILMENTE IN RES EXTRA COMMERCIUM
Ordinanza | Corte di Cassazione, sez. sesta, sottosezione 3, Pres. Amendola – Rel. D’ Arrigo | 06.10.2017 | n.23453
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