
Articolo a cura dell’avv. Paolo Calabretta, del foro di Catania
L’art. 398 c.p.c., come modificato ai sensi della legge 26 novembre 1990, n. 353, consente la contemporanea pendenza del giudizio di cassazione e per revocazione avverso la medesima sentenza, con un temperamento: resta salva, infatti, la possibilità per le parti di chiedere la sospensione del termine per proporre il ricorso per cassazione o del giudizio di cassazione stesso.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Pres. Stalla – Rel. Balsamo, con la sentenza n. 11836 del 06 maggio 2025, con la quale ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione, per sopravvenuta carenza di interesse, atteso che il giudice di appello, nelle more, aveva accolto il ricorso per revocazione proposto dalla medesima ricorrente avverso la Sentenza della Commissione Tributaria Regionale oggetto del ricorso per cassazione, con la conseguente conferma della sentenza di primo grado.
Secondo gli Ermellini è evidente, come rilevato dalla dottrina, che il nuovo meccanismo di interconnessione fra i due giudizi è stato inserito per impedire manovre dilatorie delle parti, tese a procrastinare il passaggio in giudicato della sentenza d’appello, con l’utilizzo strumentale dell’istituto della revocazione.
È del pari evidente, come anche annotato dalla dottrina, che il giudizio di revocazione è pregiudiziale al processo di cassazione, in quanto, nell’iter logico della decisione, i vizi che si fanno valere con la revocazione – mezzo di impugnazione a critica vincolata ex art. 395 c.p.c. – si collocano in un momento anteriore rispetto ai vizi, che si denunciano con il ricorso per cassazione, anch’esso a critica vincolata ex art. 360 c.p.c.
La subordinazione del ricorso per cassazione al giudizio di revocazione è solo eventuale ai sensi dell’art. 398, quarto comma c.p.c., e risponde alla esigenza di assegnare priorità alla impugnazione di merito, tesa a far valere vizi di “giustizia” della sentenza, rispetto a quella di pura legittimità, che si innerva della “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”.
Nel caso di contemporanea pendenza del giudizio di cassazione e del giudizio di revocazione, quindi nell’ipotesi in cui il giudice del provvedimento impugnato abbia ritenuto che l’istanza di revocazione fosse manifestamente infondata (non concedendo la chiesta sospensione del termine per proporre ricorre per cassazione o il relativo procedimento), ai sensi dell’art. 398, quarto comma, c.p.c., oppure nell’ipotesi in cui la parte impugnante con la revocazione non abbia chiesto la sospensione del termine per presentare il ricorso per cassazione, deve distinguersi l’ipotesi in cui la sentenza sulla revocazione sia anteriore all’esito del giudizio cassazione, dall’ipotesi in cui il provvedimento che chiude il processo di cassazione sia anteriore all’esito del giudizio di revocazione.
Se, infatti, il giudice d’appello provvede alla revocazione della propria decisione, come nella presente fattispecie, il ricorso per cassazione deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuto difetto di interesse, per essere cessata la materia del contendere nel giudizio di cassazione, a nulla rilevando che la sentenza di revocazione potrebbe a sua volta essere impugnata in cassazione – sebbene nella presente fattispecie risulta passata in giudicato – giacché l’eventuale impugnazione costituisce una mera possibilità, mentre la carenza di interesse del ricorrente a coltivare il ricorso per cassazione è attuale, essendo venuta meno la pronuncia che ne costituiva l’oggetto.
Alla cessazione della materia del contendere consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione, in relazione alla quale, ed in considerazione della domanda originariamente formulata, va valutato l’interesse ad agire (Cass., sez. 3, 2 aprile 2021, n. 9201;Cass., sez. un., 28 aprile 2017, n. 10553; Cass., sez. un., 29 novembre 2006, n. 25278; Cass., sez. 2, 12 novembre 2007, n. 23515; Cass., sez.2, 25 settembre 2013, n. 21951).
Infine, la Corte di Cassazione ha statuito che nell’ipotesi di causa di inammissibilità sopravvenuta alla proposizione del ricorso per cassazione, non sussistono i presupposti per imporre al ricorrente il pagamento del cd. “doppio contributo unificato”.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
REVOCAZIONE: IL RICORSO PUÒ AVERE AD OGGETTO SOLO UN ERRORE DI FATTO
LA SVISTA DEVE DERIVARE DA CIRCOSTANZE NON VALUTATE O VALUTATE IN MANIERA ERRONEA
Sentenza | Corte d’Appello di Cagliari, Pres. Osana- Rel.Cecchi Paone | 15.10.2021 | n.460
L’ONERE DELLA PROVA DELLA SUA OSSERVANZA RICADE SULLA PARTE IMPUGNANTE A PENA DI INAMMISSIBILITÀ
Ordinanza | Cass. civ., Sez. III, Pres. De Stefano – Rel. Giaime Guizzi | 13.07.2023 | n.20054
CIÒ IN RAGIONE DEL NUMERUS CLAUSUS DELLE IPOTESI DI NULLITÀ DELLA NOTIFICAZIONE
Sentenza | Corte di Cassazione, Pres. Frasca – Rel. Iannello | 29.03.2022 | n.10138
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