Integra il reato di truffa la condotta dell’avvocato che, approfittando del rapporto fiduciario e dell’estraneità alle questioni giuridiche della persona offesa, proponga e faccia sottoscrivere al proprio assistito il patto di quota lite, tacendone l’entità sproporzionata dell’importo derivante a titolo di compenso delle prestazioni professionali.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Sez. II penale, Pres. Cammino – Rel. Imperiali, con la sentenza n. 11030 del 1° aprile 2020.
La vicenda ha riguardato un avvocato che, in primo grado, veniva chiamato in giudizio per rispondere del delitto di truffa continuata aggravata ai danni di una cliente per averla indotta a consegnargli, in più occasioni, in contanti ed a mezzo di bonifici, complessivi Euro 364.000, approfittando del rapporto di fiducia e della condizione di fragilità emotiva della donna.
Il Giudice di prime cure, pur ritenendo dimostrato che il legale aveva incassato un ingente importo, sulla base di un patto di quota, lo assolveva, ritenendo verosimile che il predetto potesse aver approfittato della debolezza psicologica della sua assistita, ma rilevando anche che, proprio a motivo di tale debolezza, la deposizione testimoniale della persona offesa non aveva apportato elementi idonei a sostenere l’accusa.
seguito di ricorso in appello proposto dal pubblico ministero, la Corte territoriale provvedeva alla rinnovazione del dibattimento con un nuovo esame testimoniale della persona offesa e di suo fratello. All’esito, con sentenza del 20/9/2018, il collegio riformava la pronuncia di primo grado, dichiarando l’imputato colpevole del reato di cui agli artt. 81 e 640 c.p., art. 61 cp., nn. 7 ed 11.
Avverso la suddetta sentenza, il reo ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi deducendo, in primo luogo, la violazione del canone di giudizio dell’al di là di ogni ragionevole dubbio, per essersi omessa la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale con l’esame dei testimoni indicati dalla difesa.
In secondo luogo, il ricorrente ha dedotto il vizio di motivazione per l’omessa valutazione delle dichiarazioni del cassiere della Banca che si assume avrebbe potuto riferire i fatti in modo diverso da come ricostruiti dalla Corte territoriale.
La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile, in quanto i motivi addotti si discostano dai parametri dell’impugnazione di legittimità stabiliti dall’art. 606 c.p.p..
In particolare, il Collegio ha rilevato che la Corte di appello si è correttamente uniformata al dettato normativo ed alla giurisprudenza di legittimità secondo cui la previsione di cui all’art. 603 c.p.p., comma 3-bis, non impone la rinnovazione di tutte le prove dichiarative, ma solo di quelle che sono state oggetto di erronea valutazione da parte del giudice di primo grado e che sono considerate decisive ai fini dello scioglimento dell’alternativa “proscioglimento-condanna“.
Inoltre, la Suprema Corte ha ribadito che integra il reato di truffa la condotta dell’avvocato che, approfittando del rapporto fiduciario e dell’estraneità alle questioni giuridiche della persona offesa, proponga e faccia sottoscrivere al proprio assistito il patto di quota lite, tacendone l’entità sproporzionata dell’importo derivante a titolo di compenso delle prestazioni professionali.
Pertanto, deve ritenersi immune da vizi logici e giuridici la valutazione della Corte territoriale secondo cui “la sottoscrizione di quel patto resa dalla cliente praticamente al buio è la prova insormontabile del piano truffaldino” poi realizzato con le successive movimentazioni bancarie che, a partire dal dicembre 2009, mese successivo a quello dell’incarico e del patto di quota lite firmati in bianco, hanno poi portato sui conti correnti un’ingente somma di denaro.
Senza incorrere in alcun vizio logico, pertanto, la Corte territoriale ha ritenuto integrata la truffa per l’assenza di qualsiasi consapevolezza, da parte della cliente, del patto che la obbligava a compensare il difensore nella misura del 50% del risultato ottenuto, avendo la stessa riferito di aver firmato un semplice foglio bianco che le era stato indicato come destinato ad essere riempito del solo mandato professionale.
Alla luce delle suesposte argomentazioni, la Suprema Corte ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso.
Per ulteriori approfondimenti, si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
COMPENSO AVVOCATO: IL PALMARIO DEVE ESSERE CONCORDATO PER ISCRITTO CON IL CLIENTE
IN MANCANZA DI PATTUIZIONE SCRITTA LA PRETESA SI QUALIFICA COME PATTO DI QUOTA LITE
Sentenza | Cassazione civile Sez. II, Pres. Bucciante – Rel. Falaschi | 28.06.2017 | n.1621
COMPENSI AVVOCATI: COMMETTE ILLECITO DISCIPLINARE L’AVVOCATO CHE CHIEDE UN ONORARIO SPROPOSITATO
L’ALEATORIETÀ DELL’ACCORDO QUOTALIZIO NON ESCLUDE LA POSSIBILITÀ DI VALUTARNE L’EQUITÀ
Sentenza | Cassazione civile, Sezioni Unite | 25.11.2014 | n.25012
AVVOCATO: SPETTA UNICO ONORARIO SE ASSISTE CLIENTE CONTRO PIÙ PARTI CON STESSA POSIZIONE PROCESSUALE
L’ONERE DELLA MANCATA RIUNIONE NON PUÒ ESSERE POSTO A CARICO DEL CLIENTE
Sentenza | Cassazione Civile, Sezione Seconda, Pres. Oddo – Rel. Parziale | 26.08.2015 | n.17147
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