
Non può qualificarsi “incapiente” – ai fini dell’accesso all’esdebitazione ex art. 283 CCII – il debitore che disponga di un reddito (da lavoro o pensione) gravato da cessione del quinto.
Invero, in costanza di cessione del quinto (attuata nel rispetto della normativa di settore D.P..R 180/1950) non si può affermare che non via sia alcuna utilità per il ceto creditorio, dal momento che la cessione formalmente aggredisce una quota di reddito che può essere messo a disposizione dei creditori nei limiti che sono già fissati della norma speciale di cui al DPR 180/1950.
Così il Tribunale di Ivrea, in composizione collegiale, con decreto del 2 luglio 2025, ha affrontato un tema di grande rilievo sistematico nella disciplina del sovraindebitamento: l’interpretazione del requisito oggettivo dell’incapienza nel nuovo istituto dell’esdebitazione ex art. 283 del Codice della Crisi d’Impresa (recentemente modificato dal d.lgs. n. 136/2024).
Il caso riguardava due coniugi, che avevano richiesto l’esdebitazione ex art. 283 CCII, dichiarandosi totalmente incapienti (rectius, di non avere “alcuna utilità” da offrire ai creditori).
Il Giudice della “prima fase” aveva rigettato la domanda di accesso al beneficio, focalizzandosi sull’insussistenza del requisito “soggettivo” di “meritevolezza”, mentre il Collegio – in sede di reclamo – ha spostato l’analisi più “a monte”, sul presupposto oggettivo dell’incapienza, con motivazione più ampia e particolarmente significativa sul piano dell’interpretazione sistematica.
A tal proposito, l’art. 283, co. 1, CCII definisce “incapiente” il debitore che «non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura», mentre il co. 2, nella versione modificata a seguito del D. Lgs. 13/09/2024 n. 136, dispone che «Ricorre il presupposto di cui al comma 1, primo periodo, anche quando il debitore è in possesso di un reddito che, su base annua e dedotte le spese di produzione del reddito e quanto occorrente al mantenimento suo e della sua famiglia, sia non superiore all’assegno sociale aumentato della metà moltiplicato per un parametro corrispondente al numero dei componenti il nucleo familiare della scala di equivalenza dell’ISEE di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 dicembre 2013, n. 159».
A fronte di una individuazione apparentemente univoca del concetto di “incapienza”, le criticità interpretative non mancano, soprattutto raffrontando tale parametro “oggettivo” con altri criteri stabiliti dal Legislatore per definire, ad esempio, i limiti di aggredibilità (volontaria o in executivis) del reddito.
Il nucleo centrale della decisione è il seguente: la presenza di una cessione del quinto in corso – regolarmente contratta secondo il DPR n. 180/1950 – esclude in radice la possibilità di riconoscere il requisito dell’incapienza, anche ove il reddito residuo sia modesto.
Il Collegio ha osservato che la cessione del quinto rappresenta una forma di soddisfazione già in atto a favore dei creditori, incompatibile con il presupposto indefettibile dell’istituto, ovvero l’assoluta assenza di utilità disponibili, né attuali né future, da destinare al soddisfacimento del ceto creditorio.
Nel ragionamento del Tribunale si coglie una chiara opzione restrittiva e sistematica, coerente con la natura eccezionale e non-concorsuale dell’esdebitazione ex art. 283: si tratta, come ricordato dalla pronuncia, di un beneficio “a costo zero” e una tantum, che consente al debitore di ottenere la definitiva inesigibilità dei propri debiti senza alcun pagamento e, di converso, lascia del tutto insoddisfatti i creditori.
Proprio per questa sua deroga estrema al principio di responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c., il giudizio di ammissibilità dev’essere improntato a massimo rigore: ogni forma di reddito o di utilità, anche indirettamente destinabile ai creditori – come la quota oggetto di cessione del quinto – esclude in radice l’accesso al beneficio.
La decisione assume particolare rilievo “sistematico”, riducendo lo iato tra la disciplina speciale in materia di cessioni e pignoramenti del quinto, di cui al DPR n. 180/1950, ove il Legislatore ha già stimato “a monte” i margini di soddisfazione dei creditori e quelli di “sostentamento” dei debitori, ed i criteri – altrettanto speciali – stabiliti dal Codice della Crisi per definire in termini oggettivi la sussistenza o meno di “utilità” da offrire ai creditori.
Anche sotto il profilo pratico, il provvedimento del Tribunale di Ivrea offre uno spunto operativo chiaro: la presenza di una cessione del quinto in corso è di per sé ostativa all’accoglimento della domanda di esdebitazione dell’incapiente. Non solo: la pronuncia segnala l’incompatibilità strutturale tra tale istituto e qualsiasi forma di esecuzione già in atto, evidenziando la distanza rispetto a istituti “limitrofi” (come il piano del consumatore), nei quali è invece espressamente prevista la sospensione delle esecuzioni individuali.
D’altronde – osserva il Collegio piemontese – «a differenza di queste procedure, [l’esdebitazione dell’incapiente] non prevede alcun pagamento ai creditori: è una misura eccezionale e una tantum che prescinde dall’apertura di una liquidazione concorsuale, permettendo al debitore di rivolgersi direttamente al giudice per chiedere la cancellazione dei debiti residui. Proprio per questo suo carattere drastico (dare sollievo al debitore senza soddisfare i creditori), il legislatore l’ha circondata di cautele e requisiti stringenti, per evitare abusi, evitando dunque il ricorso all’esdebitazione quando ci siano comunque delle utilità distribuibili ai debitori».
In conclusione, la decisione del Tribunale di Ivrea – ispirata a un approccio rigoroso e garantista per il ceto creditorio – contribuisce a colmare una lacuna interpretativa su un istituto ancora giovane e potenzialmente foriero di abusi. Essa si colloca nell’alveo di una lettura sistemica del Codice della Crisi, che riserva l’esdebitazione incapiente ai soli casi in cui il debitore sia integralmente privo di risorse aggredibili, attuali o future, riarmonizzando l’istituto con i limiti ed i criteri già stabiliti in altri settori dell’ordinamento.
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