
La sospensione cautelare dall’esercizio della professione può essere legittimamente ordinata dal Consiglio Distrettuale di Disciplina anche a seguito di una sentenza di condanna in primo grado a pena detentiva non inferiore a tre anni, senza necessità di attendere l’irrevocabilità della stessa. Tale misura preventiva ha lo scopo di tutelare l’immagine e il prestigio dell’Ordine forense, salvaguardando la funzione sociale della categoria professionale.
Questo è il principio espresso dalla Corte di cassazione, Sez. Unite, Pres. D’Ascola – Rel. Marotta con l’ordinanza n. 11464 del 01 maggio 2025.
IL CASO
Un avvocato veniva sospeso dalla professione forense, disposta con decisione del Consiglio distrettuale di Disciplina presso la Corte di Appello di Firenze, in seguito alla condanna disposta dal Tribunale di Firenze alla pena di sette anni di reclusione per molteplici e gravi fattispecie di reato.
In particolare, a fondamento dell’adottata sospensione, era posta la gravità delle condotte di cui all’imputazione penale a carico del professionista e per le quali quest’ultimo era stato dichiarato responsabile con conseguente condanna a pesante pena detentiva.
Inoltre, il Consiglio distrettuale riteneva conclamato lo “strepitus fori“, in quanto la vicenda aveva destato sin dal suo esordio particolare attenzione da parte delle testate giornalistiche cittadine ed era tornata alla ribalta con la notizia della sentenza di condanna emessa dal Giudice fiorentino.
Evidenziava, poi, l’insussistenza della violazione del principio del “ne bis in idem” in riferimento al fatto che all’avvocato era stata applicata, in sede penale, la misura cautelare degli arresti domiciliari, prima, e della interdizione dall’esercizio della professione, successivamente, trattandosi di provvedimenti basati su presupposti del tutto differenti.
Avverso il provvedimento del Consiglio di Disciplina, l’avvocato proponeva ricorso al Consiglio Nazionale Forense, che lo rigettava.
Contro tale sentenza l’avvocato condannato promuoveva ricorso per Cassazione, affidato a cinque motivi.
Con il quinto motivo, il ricorrente denunciava, ex art. 36, comma 6, della L. n. 247/2012, violazione di legge e, in particolare, dell’art. 60 LpF e 32 Reg. disc. e/o eccesso di potere.
In particolare, censurava la sentenza impugnata per aver interpretato l’espressione “condanna” di cui all’art. 60 lettera e) con condanna anche non definitiva.
Gli Ermellini ritenevano il motivo infondato, affermando che, come già statuito dalla giurisprudenza di legittimità, l’interpretazione sistematica e la ratio dell’art. 60, comma 1, della legge n. 247 del 2012 inducono a ritenere che la “condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni” che giustifica l’applicazione della sospensione cautelare, è la condanna in primo grado, non essendo richiesta l’irrevocabilità della sentenza. Per un verso, infatti, il citato art. 60, comma 1, indica, tra i casi nei quali la misura può essere deliberata dal consiglio distrettuale di disciplina competente per il procedimento, la “condanna in primo grado per i reati previsti negli articoli 372, 374, 377, 378, 381, 640 e 646 del codice penale, se commessi nell’ambito dell’esercizio della professione, 244, 648-bis e 648-ter del medesimo codice” e l’irrogazione, “con la sentenza penale di primo grado”, della “pena accessoria di cui all’articolo 35del codice penale, anche se è stata disposta la sospensione condizionale della pena“.
Da tale disposizione – secondo le Sezioni Unite – si ricava quindi che il legislatore mostra di considerare la pronuncia di una sentenza di condanna in primo grado in tutti i casi condizione necessaria e sufficiente per l’applicazione della misura: per taluni reati a prescindere dall’entità della pena, e per tutti gli altri solo quando è stata irrogata la pena accessoria della sospensione dall’esercizio della professione (art. 35 cod. pen.), anche se vi sia la sospensione condizionale della pena, ovvero in presenza di una condanna non inferiore a tre anni.
Sulla base di tali considerazioni la Corte ha rigettato il ricorso, dichiarando la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, se dovuto.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
L’INDIVIDUAZIONE DELLE CONDOTTE COSTITUENTI ILLECITO DISCIPLINARE È RIMESSA ALL’ORDINE PROFESSIONALE
Ordinanza | Cassazione Civile, sez. unite, Pres. Rordorf – Rel. Petitti | 17.03.2017 | n.6967
È SUFFICIENTE CHE L’INCOLPATO SIA POSTO NELLA CONDIZIONE DI PREDISPORRE LE PROPRIE DIFESE
Sentenza | Cassazione Civile, Sezioni Unite, Pres. Santacroce – Rel. Giusti | 28.10.2015 | n.21948
DISCIPLINARE AVVOCATI: APPLICABILI LE NORME IN MATERIA DI SOSPENSIONE E RIASSUNZIONE
È ONERE DEL PROFESSIONISTA PROVARE LA DECADENZA PER TARDIVA RIASSUNZIONE
Cassazione Civile, Sezioni Unite, Primo Pres. Santacroce – Rel. Rordorf | 28.04.2015 | n.8572
AVVOCATI: SANZIONE DISCIPLINARE IN CASO DI PUBBLICITÀ INFORMATIVA OCCULTA
L’ABROGAZIONE DEL DIVIETO DI PUBBLICITÀ NON PRECLUDE DI SANZIONARE MESSAGGI LESIVI DELLA DIGNITÀ E DEL DECORO DELLA PROFESSIONE
Sentenza | Cassazione civile, sezioni unite | 03.05.2013 | n.1030
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