
A cura dell’Avv. Walter Giacomo Caturano
Direttore Scientifico – ExParteCreditoris.it
L’Arbitro Bancario Finanziario (ABF), istituito presso la Banca d’Italia con Delibera CICR n. 275 del 29 luglio 2008, ai sensi dell’art. 128-bis del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (Testo Unico Bancario, TUB), si configura attualmente come il principale meccanismo di risoluzione alternativa delle controversie (ADR) in ambito bancario e finanziario in Italia. La sua istituzione ha risposto all’esigenza di garantire una tutela più rapida, meno onerosa e più accessibile per i consumatori, in un settore tradizionalmente caratterizzato da asimmetrie informative e squilibri contrattuali.
Con l’adozione della Direttiva 2013/11/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, in materia di risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, e con la sua attuazione nel diritto interno mediante il d.lgs. 6 agosto 2015, n. 130, il legislatore italiano ha confermato e consolidato il ruolo dell’ABF quale organismo ADR conforme ai criteri europei. Tuttavia, pur avendo formalmente recepito i principi della Direttiva, il quadro normativo nazionale presenta talune incongruenze, che meritano un’attenta riflessione critica.
Tra i punti di maggiore problematicità figura la questione relativa all’attribuzione in capo all’ABF di un potere “sanzionatorio”, benché atipico e non formalizzato nei termini classici della sanzione amministrativa. Tale profilo solleva rilevanti interrogativi circa la sua compatibilità con i principi ispiratori della Direttiva 2013/11/UE, in particolare in relazione alla volontarietà dell’adempimento alle decisioni e all’imparzialità del procedimento. Il presente contributo si propone di approfondire criticamente tali aspetti, analizzando i parametri normativi europei, le modalità di recepimento italiano e le implicazioni, anche costituzionali, derivanti da eventuali deviazioni rispetto agli standard comunitari.
2. Il contesto normativo ed i principi ispiratori, di matrice eurounitaria (Trasparenza, Equità, Libertà)
La Direttiva 2013/11/UE
Gli organismi di risoluzione stragiudiziale delle controversie (ADR), disciplinati dalla Direttiva 2013/11/UE del 21 maggio 2013, sono organismi che offrono ai consumatori la possibilità di risolvere le controversie derivanti da obbligazioni contrattuali nei confronti di professionisti utilizzando procedure extragiudiziali di qualità.
Nelle loro linee essenziali, tutti gli organismi ADR devono soddisfare alcuni requisiti vincolanti, in modo da garantire alle parti (consumatore e professionista) il rispetto di alcuni principi di competenza, indipendenza e imparzialità dei soggetti preposti al loro funzionamento (articolo 6) nonché di trasparenza (articolo 7), efficacia (articolo 8), equità (articolo 9) e libertà (articolo 10) delle decisioni assunte.
Per gli scopi del presente approfondimento rivestono particolare importanza alcune disposizioni della Direttiva che riguardano i principi di trasparenza, di equità e di libertà delle decisioni.
Come indicato nel considerando 45[1]), l’obiettivo principale delle procedure ADR non è quello di sostituirsi alle procedure giudiziali nazionali né tantomeno privare i consumatori o i professionisti del diritto di rivolgersi ai rispettivi organi, quanto piuttosto quella di fornire una soluzione alternativa semplice, rapida ed economica alla controversia.
Tale principio di libertà trova una sua conferma esplicita, oltre che nel citato Considerando 45, anche all’interno dell’articolo 10[2] della Direttiva.
Il legislatore europeo, infatti, pur prevedendo la possibilità che l’eventuale soluzione proposta dall’ADR possa risultare vincolante per le parti ha, tuttavia, subordinato tale possibilità alla condizione che quest’ultime siano state preventivamente informate di tale vincolo e che abbiano specificatamente dato il loro assenso.
In coerenza con il richiamato principio di libertà, la lettera n) del paragrafo 1 dell’articolo 7[3], limita i poteri sanzionatori che gli organismi ADR possono esercitare.
Se, da un lato infatti, quest’ultimi hanno l’obbligo di comunicare alle parti gli effetti giuridici prodotti dalla soluzione individuata, non hanno parimenti, dall’altro, una facoltà autonoma di sanzionare la parte inadempiente.
Tale potere risulterebbe, infatti, condizionato all’esistenza di una norma nazionale di recepimento dell’articolo 10 paragrafo 2 della Direttiva, che attribuisce agli Stati membri la facoltà di rendere vincolante la soluzione “imposta” dagli organismi ADR, sempre previa informativa ed assenso delle parti.
Alla luce della “scelta” del Legislatore italiano, in assenza di vincolatività della decisione, resta fermo solo l’obbligo degli organismi ADR di informare le parti circa gli effetti giuridici della propria decisione, in modo tale che queste ultime, alla luce anche delle proprie valutazioni giuridiche, siano libere di valutare o meno l’adempimento.
La richiamata libertà di scelta risulta maggiormente rafforzata all’interno dei principi di equità previsti dall’articolo 9 della Direttiva.
In particolare, il romanino iii, della lettera b) del paragrafo 2 di detto articolo[4] prevede espressamente che le parti, prima di accettare o meno o di dare seguito a una soluzione, siano informate dallo stesso organismo che una decisione diversa potrebbe essere assunta da organo giurisdizionale nazionale.
Tale informativa trova la sua giustificazione sul presupposto che l’obiettivo degli organismi ADR, in coerenza con il richiamato Considerando 45, non è quello di doversi sostituire agli organi giudiziali nazionali né tantomeno, salvo quanto previsto all’articolo 10, di imporre una decisione definitiva alle parti utilizzando, a tal fine, anche eventualmente strumenti di coercitivi di tipo sanzionatorio.
D. Lgs n. 130/2015 (recepimento della Direttiva 2013/11/UE)
La Direttiva 2013/11/Ue è stata recepita nel nostro ordinamento nel 2015, modificando, attraverso il D. Lgs n 130/2015, la parte V e ad altri articoli del Codice del Consumo (D. Lgs. n. 206/2005).
I principi di trasparenza di cui all’articolo 7 della Direttiva sono stati, quindi, recepiti all’interno del dell’articolo 141 quater del citato Codice del Consumo.
Assume rilevanza, per gli obiettivi perseguiti dal presente articolo, verificare come siano state recepite, in particolare, le disposizioni di cui alla lettera n) dell’articolo 7 e al romanino iii, della lettera b) del paragrafo 2 dell’articolo 9 della Direttiva.
Articolo 7, paragrafo 1, lettera n)
La trasposizione di tale norma trova esplicitazione al comma 3 della lettera p), dell’articolo 141 quater, che tuttavia, rispetto alla versione “originale” della Direttiva, risulta troncata nella parte in cui è prevista la facoltà per gli organismi ADR di irrorare eventuali sanzioni per inadempimento, qualora le relative decisioni siano stata rese, ai sensi dell’articolo 10 della stessa Direttiva, vincolanti per le parti.
In sostanza l’inciso “incluse, se del caso, le sanzioni per inadempimento in caso di decisione con effetto vincolante per le parti” previsto alla lettera n) dell’articolo 7 della Direttiva non è stato recepito nel nostro ordinamento[5].
Tale carenza, per il giurista chiamato a confrontarsi con il Diritto positivo, non può che risultare il frutto di una precisa opzione di politica legislativa: non esercitare, nell’Ordinamento italiano, la facoltà, prevista dalla Direttiva, di predisporre strumenti di ADR con potenziale effetto vincolante per le parti (sì da generare il “corto-circuito” sui meccanismi “sanzionatori”, di cui si dirà). Viceversa, l’omissione dovrebbe essere considerata alla stregua di un erroneo recepimento delle indicazioni eurounitarie, tale da indurre una riflessione sulla compatibilità della disciplina interna con la cornice normativa europea ed un’indagine sulle “responsabilità” del Legislatore, nei termini in cui l’erroneo recepimento determini un danno, a carico dei soggetti privati incisi.
Articolo 9, paragrafo 2, lettera b), n. 3)
Il principio di equità, relativo agli obblighi informativi posti a carico dell’organismo ADR di comunicare alle parti la possibilità che un organo giudiziale nazionale possa decidere diversamente (n. 3), della lettera b) del paragrafo 2 dell’articolo 9 della Direttiva) è stato invece recepito, in maniera pedissequa, all’interno del comma 5, lettera b) n. 3), dell’articolo 141 quater del citato Codice del Consumo[6].
La nascita dell’ABF, quale organismo di ADR in materia bancaria, precede l’emanazione della Direttiva 2013/11/UE. In particolare, l’organismo è stato istituito nel 2009 in attuazione dell’articolo 128-bis[7] del Testo unico bancario; articolo aggiunto dalla legge sul risparmio (Legge n. 262/2005) come successivamente modificato in fase di recepimento della Direttiva 2008/48/CE (D. Lgs. n. 141/2010).
Come previsto dal comma 2 del suddetto articolo, il CICR, con deliberazione n. 275 del 29 luglio 2008 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 222 del 22 settembre 2008), ha, quindi, proceduto a disciplinare il funzionamento del sistema di risoluzione stragiudiziale delle controversie, lasciando poi alla Banca d’Italia (articolo 7) l’onere di emanare le disposizioni applicative; emanazione avvenuta il 18 giugno 2009[8].
In conseguenza del recepimento della Direttiva 2013/11/UE, il Ministro dell’Economia e delle Finanze, in qualità di presidente del CICR, ha, quindi, successivamente emanato un decreto (n. 127 del 10 luglio 2020 pubblicato Gazzetta Ufficiale n.181 del 22 luglio 2020) modificativo della precedente deliberazione.
Nelle sue linee generali, le disposizioni di funzionamento dell’ABF alla luce dei due provvedimenti del CICR, si basano sui seguenti principi:
- la partecipazione degli Intermediari al sistema di risoluzione stragiudiziale “ABF” è obbligatoria[9];
- le decisioni dell’ABF non sono vincolanti tra le parti e, conseguentemente, queste rimangono nella piena facoltà di ricorrere eventualmente all’autorità giudiziaria ovvero ad ogni altro mezzo previsto dall’ordinamento[10];
- In caso di inadempimento dell’intermediario, l’inadempienza è resa pubblica mediante pubblicazione sul sito dell’ABF e dell’intermediario stesso[11];
- il ricorso è gratuito da parte dei consumatori, salvo il versamento di un contributo di 20 euro per spese di procedura. In caso di accoglimento in tutto o in parte del ricorso l’intermediario è tenuto a rimborsare il contributo versato dal consumatore nonché a versare un ulteriore importo, pari a 200 euro, per contributo alle spese della procedura[12].
In sede di recepimento della Direttiva, il nostro legislatore ha, quindi, confermato l’ABF quale unico organismo di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia bancaria, inserendo a tal fine un apposito richiamo nel modificato articolo 141 del Codice del Consumo (comma 7)[13]. Nello specifico, il legislatore ha previsto che le procedure di risoluzione stragiudiziale delle controversie svolte nel settore di competenza della Banca d’Italia per il tramite dell’ABF, potessero considerarsi conformi alla Direttiva, alla condizione, tuttavia, che le stesse si adeguassero ai principi, alle procedure ed ai requisiti previsti dalle disposizioni di recepimento del Diritto UE.
- La “prova di conformità” alla Direttiva
Alla luce di quanto rappresentato, la riflessione si sposta sul piano della “verifica di conformità” della normativa nazionale di recepimento della Direttiva 2013/11/UE (e di quella regolamentare emanata dalla Banca d’Italia in merito al funzionamento dell’ABF) alle prescrizioni europee in tema di organismi di risoluzione stragiudiziale delle controversie.
In particolare, di seguito si analizzeranno i possibili punti di “frizione” creati dalla disciplina nazionale, con particolare riferimento al rispetto dei principi di trasparenza ed equità previsti dalla Direttiva come disciplinati rispettivamente alla lettera n) del paragrafo 1 dell’articolo 7 (sanzioni) e al n. 3) della lettera b) del paragrafo 2 (informativa alle parti circa il possibile diverso esito procedura giudiziale).
3.1. Il meccanismo sanzionatorio
Come osservato supra, il Legislatore ha recepito nel nostro ordinamento la Direttiva 2013/11/UE, omettendo la seconda parte della lettera n) del paragrafo 1 dell’articolo 7, ovvero quella relativa alla possibilità condizionata degli organismi ADR a poter irrorare sanzioni a carico della parte inadempiente, nei soli casi di decisione vincolante ex lege.
A tal proposito risulta, in via preliminare, importante evidenziare che la sanzione, così come prevista dalla Direttiva, non deve intendersi necessariamente univoca a carico del solo professionista, ma può essere irrorata anche nei confronti del consumatore[14].
Orbene, analizzando tutte le disposizioni nazionali di attuazione (Deliberazione CICR n. 275/2008 come modificata dal Decreto MEF n,127/2020 e Disposizioni della Banca d’Italia), non si può non notare come all’ABF sia stato attribuito un potere “sanzionatorio” (peraltro esclusivo nei soli confronti degli intermediari e non anche nei confronti di entrambe le parti), per il caso di inadempimento, pur in assenza di un carattere vincolante delle decisioni.
Tale potere di esplicita essenzialmente attraverso i seguenti strumenti:
- l’inadempienza è resa pubblica mediante pubblicazione sul sito dell’ABF e dell’intermediario;
- in caso di accoglimento in tutto o in parte del ricorso l’intermediario è tenuto a rimborsare il contributo versato dal consumatore nonché a versare un ulteriore importo, pari a 200 euro, per contributo alle spese della procedura.
Tale potere sanzionatorio, seppur non assimilabile ad uno strumento di carattere “giurisdizionale”, né “amministrativo”, costituisce uno dei principali punti di attrito con la Direttiva unionale.
Sebbene queste misure siano qualificate come “accessorie”, infatti, esse producono un effetto deterrente e “punitivo” che, in assenza di un consenso vincolante della parte, rischia di entrare in conflitto con il principio della non vincolatività della decisione sancito dalla Direttiva. Inoltre, la loro applicazione esclusiva all’intermediario, senza analoghe conseguenze per il consumatore in caso di inadempimento, solleva dubbi in ordine al rispetto del principio di imparzialità e di parità delle parti, cardini del sistema ADR europeo.
In altri termini: se il Legislatore nazionale ha inteso “optare” per la predisposizione di un sistema ADR privo dei caratteri di “vincolatività” (neppure in caso di assenso delle parti), appare – quantomeno – “distonica” la scelta di presidiare l’inadempimento degli intermediari, con un meccanismo “sanzionatorio”.
La “gravità” del meccanismo punitivo è stata spesso “ridimensionata”, nell’ambito del noto dibattito sulla natura giuridica delle decisioni ABF, di guisa che si è spesso parlato di una «sanzione poco efficace per il caso d’inadempimento»[15]. Tuttavia, secondo un approccio strettamente normativo, non si può non riscontrare un possibile “conflitto” con l’Ordinamento UE, su un tema che, a dispetto della poca “efficacia”, è capace di generare assai più “efficaci” danni economici e reputazionali sulla platea degli intermediari inadempienti, tali da non escludere l’attivazione di rimedi risarcitori, se i danni vengono ricondotti ad un erroneo recepimento della disciplina eurounitaria.
3.2. Gli obblighi informativi
Come già osservato, il Legislatore italiano, in sede di recepimento della Direttiva 2013/11/UE, ha voluto considerare, a tutti gli effetti, il preesistente ABF quale organismo conforme al diritto unionale, per la risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia bancaria e finanziaria. A tal fine ha, quindi, imposto che la relativa normativa dovesse necessariamente conformarsi alle norme di attuazione delle disposizioni europee (cfr. articolo 141, comma 7 del Codice del Consumo).
Orbene si evidenzia, che attualmente né le due deliberazioni del CICR, né tantomeno quelle attuative della Banca d’Italia (Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia dei operazioni e servizi bancarie e finanziari) prevedono alcun obbligo posto a carico dell’ABF di rispettare le prescrizioni informative di cui al romanino iii, della lettera b) del paragrafo 2 dell’articolo 9 della Direttiva come recepite al comma 5, lettera b), n 3) dell’141 quater del Codice del Consumo.
Coerentemente, le notifiche alle parti delle decisioni assunte dai diversi Collegi Arbitrali non contengono alcuna informativa in merito alla circostanza che le stesse potrebbero differire da quelle astrattamente assumibili dagli organi giudiziali eventualmente aditi dalle parti.
Tale carenza – se si ascrive la decisione ABF tra le procedure «volte a risolvere la controversia proponendo una soluzione» (espressione che si ritrova, tanto al par. 2 dell’articolo 9 della Direttiva, quanto al comma 5 dell’141 quater del Codice del Consumo) – aggiunge un ulteriore elemento di distonia al quadro normativo, primario e secondario, che disciplina il funzionamento dell’Arbitro, oltre a poter rappresentare una diretta violazione della previsione di cui al comma 7 dell’141 del Codice del Consumo, che postula, anche per effetto della normativa nazionale di recepimento, la necessità di assicurare la piena conformità dell’organismo di ADR ai principi della Direttiva, pena l’insinuarsi il “dubbio” circa la legittimità formale degli stessi dispostivi emessi dall’ABF, ovvero circa l’esclusione, de iure, di quest’ultimo dal novero degli organismi disciplinati dalla Direttiva[16].
Si aggiunga che la mancata informativa circa la non vincolatività della decisione, ed i possibili esiti diversi in sede giudiziaria, potrebbe configurarsi anche quale ulteriore fonte di danno per gli intermediari, se essi stessi, la propria controparte o la giurisprudenza di merito attribuiscono alle decisioni ABF una tale presunzione di “conformità al diritto”, da condizionare la scelta sull’adempimento, così minando il principio di equità del procedimento, inteso come equilibrio tra le posizioni delle parti e rispetto delle loro prerogative procedurali e sancito dall’art. 9 della Direttiva.
4. Considerazioni conclusive e prospettive di intervento
Alla luce dell’analisi svolta, appare evidente come l’attuale disciplina dell’ABF presenti alcune “zone d’ombra” in ordine alla sua compatibilità con i principi della Direttiva 2013/11/UE.
Se il vulnus più evidente appare quello dello “strano” meccanismo sanzionatorio, gli operatori non possono che interrogarsi sui rimedi tesi a riportare “armonia” tra il sistema nazionale di ADR e la cornice europea, così da garantire l’efficacia degli strumenti di tutela stragiudiziale nel settore bancario e assicurare una protezione concreta ed effettiva ai consumatori, in linea con i valori fondanti del diritto dell’Unione e nella piena parità tra le parti.
La riflessione si impone, tanto più, in un contesto giurisprudenziale, che tende a recepire – de facto – gli orientamenti arbitrali (non a caso si parla spesso, sebbene impropriamente, di “giurisprudenza arbitrale”), sia per l’autorevolezza che l’ABF ha saputo, in alcuni contesti, assumere, sia per il livello di “specializzazione” che un contenzioso così settoriale richiede ai giudici ordinari.
Per il giurista, tuttavia, la corretta valorizzazione delle decisioni ABF non può che fondarsi anche su un rigido controllo dell’inquadramento “a monte” dell’Organismo di ADR nella cornice “istitutiva”.
De iure condendo, un intervento riformatore dovrebbe ritenersi auspicabile, per porre rimedio ad un meccanismo “sanzionatorio” potenzialmente eccentrico rispetto alle indicazioni eurounitarie ed all’assenza di carattere vincolante delle decisioni, che attenta dottrina ha definito «poco più di una sorta di parere pro veritate, reso da un gruppo di esperti»[17], sì da evitare che, de iure condito, i punti di frizione determinino un dubbio di legittimità dei dispositivi arbitrali od, a monte, delle “regole d’ingaggio” dell’Arbitro, così minando la “fiducia” degli Operatori – obiettivo “sovrano” per il funzionamento qualsivoglia sistema di ADR, fondato, “a monte”[18] o “a valle”, sul “consenso informato”[19] delle Parti – od aprendo la strada a procedure d’infrazione od all’individuazione di profili di responsabilità dello Stato, in relazione alla normativa di recepimento della Direttiva.
[1] Considerando 45: “Il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale sono diritti fondamentali previsti dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Pertanto, l’obiettivo delle procedure ADR non dovrebbe essere né quello di sostituire le procedure giudiziali né quello di privare i consumatori o i professionisti del diritto di rivolgersi agli organi giurisdizionali. È opportuno che la presente direttiva non contenga alcun elemento che possa impedire alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario. Nei casi in cui una controversia non possa essere risolta secondo una determinata procedura ADR il cui esito non sia vincolante, è auspicabile che alle parti non sia successivamente impedito di avviare un procedimento giudiziario in relazione a tale controversia. Gli Stati membri dovrebbero avere la possibilità di scegliere i mezzi appropriati per conseguire tale obiettivo. Essi dovrebbero poter prevedere, tra l’altro, che i termini di prescrizione o decadenza non vengano a scadenza durante una procedura ADR.”.
[2] Articolo 10 paragrafo 2: “Gli Stati membri provvedono affinché nelle procedure ADR volte a comporre la controversia mediante l’imposizione di una soluzione, sia possibile rendere tale soluzione vincolante per le parti soltanto a condizione che queste siano state preventivamente informate del suo carattere vincolante e abbiano specificatamente dato il loro assenso. La specifica accettazione del professionista non è richiesta se le norme nazionali dispongono che le soluzioni vincolano i professionisti.”
[3] Articolo 7 par. 1: ”Gli Stati membri garantiscono che gli organismi ADR rendano disponibili al pubblico sui loro siti web, su un supporto durevole su richiesta e in qualsiasi altro modo essi ritengano appropriato, informazioni chiare e facilmente comprensibili riguardanti: omissis n) l’effetto giuridico dell’esito della procedura ADR, incluse, se del caso, le sanzioni per inadempimento in caso di decisione con effetto vincolante per le parti;”
[4] Articolo 9 par. 2: “Nell’ambito delle procedure ADR volte a risolvere la controversia proponendo una soluzione, gli Stati membri garantiscono che: omissis – b) le parti, prima di accettare o meno o di dare seguito a una soluzione proposta, siano informate del fatto che: omissis – iii) che la soluzione proposta potrebbe essere diversa dal risultato che potrebbe essere ottenuto con la decisione di un organo giurisdizionale che applichi norme giuridiche”
[5] L’articolo 141 quater lettera p) si limita a recepire l’onere di preventiva informativa del “l’effetto giuridico dell’esito della procedura ADR”.
[6] Articolo 141 quater comma 5 lettera b): “le parti, prima di accettare o meno o di dare seguito a una soluzione proposta, siano informate del fatto che:
1) hanno la scelta se accettare o seguire la soluzione proposta o meno;
2) la partecipazione alla procedura non preclude la possibilità’ di chiedere un risarcimento attraverso un normale procedimento giudiziario;
3) la soluzione proposta potrebbe essere diversa dal risultato che potrebbe essere ottenuto con la decisione di un organo
giurisdizionale che applichi norme giuridiche” (enfasi aggiunta).
[7] Articolo 128 bis TUB
“1. I soggetti di cui all’articolo 115 aderiscono a sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie con la clientela.
- Con deliberazione del CICR, su proposta della Banca d’Italia, sono determinati i criteri di svolgimento delle procedure di risoluzione delle controversie e di composizione dell’organo decidente, in modo che risulti assicurata l’imparzialità dello stesso e la rappresentatività dei soggetti interessati. Le procedure devono in ogni caso assicurare la rapidità, l’economicità della soluzione delle controversie e l’effettività della tutela.
- Fermo restando quanto previsto dall’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non pregiudicano per il cliente il ricorso a ogni altro mezzo di tutela previsto dall’ordinamento.
3-bis. La Banca d’Italia, quando riceve un esposto da parte della clientela dei soggetti di cui al comma 1, indica all’esponente la possibilità di adire i sistemi previsti dal presente articolo.”
[8] La prima regolamentazione è del 18 giugno del 2009 ed è rimasta in vigore sino al 13 novembre 2012, la seconda è del 9 novembre 2012 ed è rimasta in vigore sino al 1° novembre 2016, la terza è del 2 novembre 2016 ed è rimasta in vigore sino al 30 settembre 2020, la quarta è del 12 agosto 2020 ed è rimasta in vigore sino al 7 marzo 2025, Quella attualmente in vigore è del 25 marzo 2025.
[9] A mente dell’Art. 128 bis TUB «1. I soggetti di cui all’articolo 115 aderiscono a sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie con la clientela».
[10] Cfr. Articolo 6 comma 8 della Delibera CICR 275 del 29 luglio 2008 e Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari della Banca d’Italia (Sezione IV, Paragrafo 3 – Decisione sul ricorso).
[11] Cfr. Articolo 6 comma 7 della Delibera CICR 275 del 29 luglio 2008; Articolo 1, comma 1, lettera f) del Decreto MEF n. 127 del 10 luglio 2020; Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari della Banca d’Italia (Sezione IV, Paragrafo 4- Pubblicità dell’inadempimento).
[12] Cfr. Articolo 2 comma 10 della Delibera CICR 275 del 29 luglio 2008 e Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari della Banca d’Italia (Sezione V, Paragrafo 2 – Contributo alle spese di procedura).
[13] «7. Le procedure svolte nei settori di competenza dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas ed il sistema idrico, della Banca d’Italia, della Commissione nazionale per la società’ e la borsa e dell’Autorità’ per le garanzie nelle comunicazioni, ivi comprese quelle che prevedono la partecipazione obbligatoria del professionista, sono considerate procedure ADR ai sensi del presente Codice, se rispettano i principi, le procedure e i requisiti delle disposizioni di cui al presente titolo». (enfasi aggiunta)
[14] Si pensi ad esempio al caso in cui un consumatore si sia reso inadempiente nei confronti del professionista eccependo a quest’ultimo irregolarità nel contratto. Qualora la decisione dell’Organismo risultasse avversa al consumatore (contratto senza irregolarità), la decisione potrebbe prevedere il pagamento al professionista di quanto non adempiuto nonché una sanzione qualora lo stesso non provveda.
[15] Sotto altra prospettiva – e con uno spettro d’indagine diverso dal presente contributo – si rinviene tale definizione in V.SANGIOVANNI, Regole procedurali e poteri decisori dell’Arbitro Bancario Finanziario, sul web in judicium.it.
[16] Si ricorda, a tal proposito, che il nostro legislatore ha espressamente disciplinato che le procedure svolte nel settore di competenza della Banca d’Italia possono considerarsi procedure ADR solo ed esclusivamente alla condizione che le stesse rispettano i principi, le procedure e i requisiti delle disposizioni di cui alle norme di recepimento della Direttiva.
[17] Cfr. ancora V.SANGIOVANNI, Regole procedurali e poteri decisori dell’Arbitro Bancario Finanziario, op. cit.
[18] Sull’individuazione di una forma di consenso “a monte”, va registrata la posizione di S.RUPERTO, espressa in L’«Arbitro Bancario Finanziario», in Banca borsa tit. cred., 2010, 03, 325. L’Autore, interrogandosi sulla natura giuridica della decisione ABF, sui suoi elementi costitutivi e sulla «struttura» del procedimento, riconduce la fattispecie alla categoria del «consenso dell’avente diritto». Testualmente: «a differenza di quanto avviene nel caso dell’arbitrato e dell’arbitraggio (di una transazione o di un negozio di accertamento transattivo), la banca e il cliente non hanno alcun rapporto diretto con l’Organo decidente. Con l’adesione al sistema ABF, e con la proposizione del ricorso, l’intermediario e il cliente instaurano un rapporto solamente con la Banca d’Italia, il cui oggetto è la trattazione di particolari controversie tra loro insorte. Ma – si badi bene – con tale adesione l’intermediario non conferisce un incarico di gestione della controversia finalizzato all’ottenimento di una decisione, come avviene nel caso degli arbitrati, bensì si limita ad “autorizzare” la Banca d’Italia a irrogargli la sanzione in caso di inottemperanza o inesecuzione di una decisione dell’Organo, assunta e comunicata conformemente alla regolamentazione in vigore. Trattasi di un’autorizzazione riconducibile, sotto un profilo più schiettamente giuridico, alla figura del consenso dell’avente diritto. Questo consenso, che viene originariamente manifestato con l’adesione, impedisce di qualificare come fatto illecito il provvedimento di pubblicazione della notizia dell’inadempimento, il quale, altrimenti, non sarebbe consentito alla Banca d’Italia. L’atto della pubblicazione diviene così un atto iure, come tale improduttivo di un danno risarcibile. Il consenso dell’intermediario è in ogni momento liberamente revocabile, ma la sua revoca comporterebbe anche la revoca della stessa adesione al Sistema ABF, e determinerebbe il venir meno di uno dei requisiti previsti dalla legge per l’esercizio dell’attività bancaria e finanziaria. […] In questo quadro, la decisione dell’Organo sembra allora ridursi a una sorta di parere pro veritate, essendo l’Organo decidente sostanzialmente investito dalla Banca d’Italia dell’incarico di esprimere una valutazione sulla controversia in atto fra l’intermediario e il cliente: incarico per l’esecuzione di una prestazione d’opera intellettuale. L’Organo svolge un’attività logica, di giudizio, consistente nel prendere posizione rispetto alla controversia attribuendo una ragione e un torto, ma solo in astratto, cioè senza che si producano effetti propriamente accertativi. La Banca d’Italia, sulla base del parere dell’Organo che, accogliendo il ricorso, faccia prevalere la ragione del cliente, sarà legittimata a irrogare la sanzione all’intermediario soccombente, in caso di sua inerzia nell’attuazione dei comportamenti qualificati nel parere come dovuti». Contra, non può non osservarsi che lo stesso Autore riconosce l’ambiguità della tesi del consenso “a monte”, in quanto avente natura “necessitata” dalla conservazione dei requisiti di legge per l’esercizio dell’attività bancaria e finanziaria, sì da porre qualche dubbio in ordine al rispetto dei tre principi cardine della cornice eurounitaria, oggetto del presente lavoro.
[19] Si consenta di traslare “brutalmente”, in questo ambito, un’espressione ripresa da altro contesto normativo, al fine di tentare di sintetizzare efficacemente i tre principi cardine di “libertà”, “trasparenza” ed “equità” di cui alla Direttiva.
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Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno