
Articolo a cura dell’Avv. Paolo Calabretta, del Foro di Catania
In materia di liquidazione giudiziale ex art. 121 CCII, solo ove l’imprenditore dimostri la mancanza dei requisiti dimensionali, e quindi la sua non assoggettabilità alla procedura di liquidazione “maggiore”, ovvero il Tribunale acquisisca ex officio elementi certi che dimostrino il mancato possesso congiunto dei predetti requisiti, si potrà pervenire al rigetto della domanda di liquidazione.
Diversamente opinando, ove vi sia incertezza sulla presenza dei predetti requisiti, si perverrebbe, infatti, al risultato abnorme di premiare, non solo l’imprenditore insolvente contumace ma soprattutto quello che abbia (colpevolmente) omesso il deposito dei bilanci negli ultimi tre anni o che, sulla base delle informazioni ricevute dall’Agenzia delle Entrate, non abbia presentato dichiarazioni dei redditi nell’ultimo triennio.
Anche con il Codice della Crisi vi è l’onere, a carico del debitore, di dimostrare la sussistenza dei requisiti dimensionali di esenzione dalla procedura concorsuale maggiore, previsti dall’art. 2 CCII (ex art. 1 L.F).
Questo sono i principi espressi dalla Corte di Appello di Catania, Pres. Rel. La Mantia, con la sentenza n. 966 del 27 giugno 2025, che ha accolto il reclamo ex art. 50 D. lgs. 12.01.2019 proposto dal creditore che aveva visto rigettarsi, da parte del Tribunale di Catania, l’istanza di apertura della procedura di liquidazione giudiziale della propria debitrice.
Secondo il Tribunale, invero, parte creditrice avrebbe dovuto proporre istanza per la liquidazione controllata ex art. 268 CCII e non già l’istanza di apertura della liquidazione giudiziale.
Il Tribunale aveva ritenuto che, nell’attuale contesto normativo, sia insostenibile affermare che, sulla base dell’art. 121 CCI, possa pervenirsi al rigetto della domanda di liquidazione solo laddove l’imprenditore dimostri la mancanza dei requisiti dimensionali, pur a fronte di informazioni, sub art. 367 CCI, che restituiscano un evidente quadro di mancanza di prova di un tale superamento. Di conseguenza, dinanzi a informazioni che restituiscano un quadro di mancanza di prova del superamento delle soglie ex art. 2, comma 1, lett. d), CCI, la procedura adeguata – sempre secondo il Tribunale – sarebbe stata quella della liquidazione controllata, in presenza di domanda e degli ulteriori requisiti di legge.
Il Tribunale aveva così motivato il rigetto:
“Nella specie e per quanto concerne l’esposizione debitoria all’attualità, le informazioni acquisite in atti (v. note dell’INPS, dell’agente della riscossione e dell’Agenzia delle Entrate) evidenziano solo debiti esattoriali, comprensivi di accessori, per un ammontare complessivo pari a euro 265.350,71. I superiori crediti, in uno a quello dedotto da parte ricorrente, restituiscono un’esposizione debitoria complessiva qui accertata ben al di sotto degli euro 500.000,00 previsti dall’art. 2, lett. d), n. 3), CCI.
In assenza di bilanci per le annualità che qui rilevano (l’ultimo attiene all’esercizio dell’anno 2007) e di dichiarazioni fiscali (v. informativa dell’Agenzia delle Entrate) non emerge neanche il superamento, nelle tre annualità di riferimento, delle altre soglie (art. 2, lett. d, nn. 1 e 2, CCI). Sulla base di tutti gli elementi valutativi in questa sede acquisiti non si riscontra in capo alla resistente la sussistenza dei requisiti eccedenti quelli di cui all’art. 2, comma 1, lett. d), CCI, non emergendo che questa abbia superato, nell’esercizio dell’impresa, almeno una delle dette soglie, rispettivamente, all’attualità (per l’esposizione debitoria) e nel triennio che qui rileva (per la altre). La domanda di apertura della liquidazione giudiziale va, pertanto, rigettata”.
Il Collegio catanese dichiarava di pronunziarsi in consapevole contrasto con il diverso orientamento della locale Corte d’Appello.
La società creditrice proponeva reclamo innanzi alla Corte d’Appello di Catania, rilevando che, in mancanza di presentazione dei bilanci, non poteva certo premiarsi il comportamento inerte ed omissivo del debitore che, peraltro, impediva di provare gli altri requisiti per la dichiarazione di liquidazione giudiziale.
Diversamente opinando, sarebbe stato facile sottrarsi alla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale, omettendo la presentazione dei bilanci ed impedendosi, così, di verificare delle altre soglie (art. 2, lett. d, nn. 1 e 2, CCI).
E ciò in violazione dell’onere della prova di non ricorrenza dei presupposti per l’apertura di tale procedura, incombente sul debitore.
E ciò in violazione dell’art. 121 CCI, il quale dispone che: “Le disposizioni sulla liquidazione giudiziale si applicano agli imprenditori commerciali che non dimostrino il possesso congiunto dei requisiti di cui all’articolo 2, comma 1, lettera d), e che siano in stato di insolvenza”.
La Corte d’Appello di Catania ha accolto il reclamo, con la seguente motivazione, di per sé esplicativa:
“questa Corte ha “ribadito l’insegnamento giurisprudenziale che, nella vigenza della regola della generale fallibilità degli imprenditori commerciali, addossa al fallendo l’onere di dimostrare il possesso dei limiti di esenzione dalla procedura concorsuale maggiore ex art. 1 L.F, adesso previsti dall’art. 2 CCII” ed ha aggiunto che “Invero nella vigenza del detto art. 1 co. 2 l. fall. – a mente del quale “non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al primo comma, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti…”, era pacifico che “L’onere della prova del mancato superamento dei limiti di fallibilità previsti dall’articolo 1, comma 2, della legge fallimentare grava sul debitore, atteso che la menzionata disposizione, anche prima delle ulteriori modifiche a essa apportate dal decreto legislativo n. 169 del 2007, già poneva come regola generale l’assoggettamento a fallimento degli imprenditori commerciali e, come eccezione, il mancato raggiungimento dei ricordati presupposti dimensionali. Dunque, dato che il regime concorsuale riformato ha delineato la figura dell’imprenditore fallibile affidandola in via esclusiva a parametri soggettivi di tipo quantitativo, il debitore, in applicazione del principio di prossimità della prova, ha l’onere di dimostrare di essere esente dal fallimento tramite la dimostrazione del mancato superamento congiunto dei parametri dimensionali ivi prescritti” (cfr. tra le altre Cass. civ., 23/03/2018, n. 7372 e, in termini, Cass. civ., sez. VI, 24/10/2017, n. 25188, Cass. civ., 01/12/2016 n. 24548).
La medesima giurisprudenza di legittimità evidenziava che tale onere deve essere assolto, in via di elezione, attraverso il deposito dei bilanci dell’ultimo triennio, atteso che, seppure sia consentito l’accesso a strumenti probatori alternativi sempre che idonei a fornire un’adeguata rappresentazione della complessiva situazione economica dell’impresa commerciale (così Cass. civ., sez. I, 26/11/2018, n. 30541), i bilanci restano lo strumento di prova privilegiato: “In tema di fallimento, ai fini della prova della sussistenza dei requisiti di non fallibilità di cui all’ art. 1, comma 2, l. fall., i bilanci degli ultimi tre esercizi che l’imprenditore è tenuto a depositare, ai sensi dell’ art. 15, comma 4, l. fall., costituiscono strumento di prova privilegiato dell’allegazione della non fallibilità, in quanto idonei a chiarire la situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa” (Cass. civ., sez. I, 23/11/2018, n. 30516).
Orbene l’art. 121 CCII non ha modificato in alcun modo il regime previgente, intervenendo solo sulla formulazione della precedente norma, declinandola in negativo: “le disposizioni sulla liquidazione giudiziale si applicano agli imprenditori commerciali che non dimostrino il possesso congiunto dei requisiti di cui all’art. 2 co. 1, lettera d), e che siano in stato di insolvenza. Ed invero il rispetto delle soglie dimensionali continua ad integrare un fatto costitutivo della qualifica di imprenditore minore il cui onere dimostrativo non può che gravare sull’imprenditore che voglia sottrarsi alla liquidazione giudiziale in quanto fatto impeditivo di questa, anche in ragione del principio di vicinanza della prova.
In particolare, fermi i poteri istruttori ex officio spettanti al Tribunale, il mancato assolvimento del predetto onere non può che comportare la qualificazione dell’imprenditore come “non minore” con conseguente assoggettamento alla liquidazione giudiziale.
Ne consegue che solo ove l’imprenditore dimostri la mancanza dei requisiti dimensionali, e quindi la sua non assoggettabilità alla procedura di liquidazione, ovvero il Tribunale acquisisca ex officio elementi certi che dimostrino il mancato possesso congiunto dei predetti requisiti si potrà pervenire al rigetto della domanda di liquidazione.
Diversamente opinando – come sembra aver fatto il Tribunale – ove vi sia incertezza sulla presenza dei predetti requisiti, si perverrebbe, infatti, al risultato abnorme di premiare non solo l’imprenditore insolvente contumace ma soprattutto quello che ha (colpevolmente) omesso il deposito dei bilanci negli ultimi tre anni o, come nel caso in esame ,“la ditta in epigrafe generalizzata” che sulla base delle informazioni ricevute dall’Agenzia delle Entrate “non ha presentato dichiarazioni dei redditi nell’ultimo triennio”.
Nel caso di specie nessun elemento è stato acquisito dal Tribunale idoneo a comprovare con certezza il mancato possesso congiunto dei requisiti richiesti dalla norma e l’imprenditore insolvente, rimanendo contumace, ha omesso il deposito dei bilanci degli ultimi tre anni, ossia gli strumenti di prova privilegiata, con la conseguenza che deve ritenersi provata la qualificazione dell’omissis come imprenditore “non minore” con conseguente assoggettamento alla liquidazione giudiziale.
Va, infine, dato atto che la società reclamata non risulta cancellata dal registro delle imprese (v. visura in atti)”.
In conclusione, in ossequio al superiore indirizzo dal quale questo Collegio, condividendolo, non ritiene di doversi discostare, in accoglimento del reclamo e del ricorso originario nonché riformando integralmente il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 50, comma 5 CCII, va dichiarata aperta la liquidazione giudiziale”.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
NON OPERA IL DISPOSTO DI CUI ALL’ART. 7 CO. 2 CCI NON RIENTRANDO TALE ISTITUTO TRA GLI STRUMENTI DI REGOLAZIONE DELLA CRISI E DELL’INSOLVENZA
Sentenza | Tribunale di Mantova, Giudice Mauro Bernardi | 13.02.2025
IN TAL CASO IL DEBITORE DEVE AVERE UN TERMINE PER LA DIFESA SULLA DOMANDA SUBORDINATA
Decreto | Tribunale di Roma, Pres. Coluccio – Rel. Miccio | 01.07.2024 |
PRESUPPOSTO È UNA ESPOSIZIONE DEBITORIA SUPERIORE A CINQUANTAMILA EURO RISULTANTE DAGLI ATTI DI ISTRUTTORIA
Sentenza | Tribunale di Siena, Pres. Serrao-Rel. Dell’Unto | 28.09.2023 | n.38
LIQUIDAZIONE CONTROLLATA: NON “BLOCCA” L’ESECUZIONE INDIVIDUALE DEL CREDITORE FONDIARIO
IL PRIVILEGIO PROCESSUALE EX ART. 41 TUB SI ESERCITA ANCHE NELL’AMBITO DELLA LIQUIDAZIONE DEL CONSUMATORE
Sentenza | Tribunale di Benevento, Pres. D’Orsi- Rel. Galasso | 24.11.2023 | n.57
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Ordinanza | Tribunale Torre Annunziata, Giudice Emanuela Musi | 14.03.2023 |
IN CASO DI INDEBITAMENTO CHE COINVOLGE L’INTERO NUCLEO FAMILIARE E/O ALCUNI COMPONENTI DI ESSI
Sentenza | Tribunale di Reggio Emilia, Pres. Parisoli – Rel. Stanzani Maserati | 17.05.2023 |
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Ordinanza | Tribunale di Ancona, Giudice Giuliana Filippello | 22.06.2023 |
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