Negli ultimi anni si è assistito ad un proliferare di vertenze in ambito di contenzioso bancario che non ha lasciato indenne nemmeno la fattispecie del contratto di leasing. Una delle prime criticità in ordine cronologico sollevate nelle consulenze tecniche – e conseguentemente negli atti di causa della parte utilizzatrice – è la mancata indicazione del TAEG/ISC all’interno del contratto. Tale aspetto, peraltro, di recente è notoriamente stato oggetto di un acceso dibattito nei tribunali con particolare riferimento ai contratti di mutuo: rispetto a tali fattispecie la giurisprudenza maggioritaria è ad oggi propensa a considerare il suddetto parametro non un tasso ma un mero indicatore del costo complessivo del contratto, con sostanziale finalità informativa in termini di trasparenza, la cui mancata/incompleta/errata indicazione non indice sulla validità del contratto.
Le pronunce giurisprudenziali meglio argomentate sul punto non ritengono possibile estendere analogicamente alla fattispecie del leasing l’obbligatorietà della indicazione di TAEG/ISC: sono gli stessi principi fissati dal Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio (CICR) in tema di TAEG/ISC ad escludere tale possibilità.
Il Tribunale di Bologna, con sentenza n. 21058 del 17 dicembre 2018, ha fatto propria la tesi c.d. restrittiva, negando l’applicabilità della disciplina su TAEG/ISC al leasing.
La decisione, nel motivare la propria posizione, richiama il noto orientamento dell’Arbitro Bancario Finanziario (ABF), rilevando che: “Va altresì rigettata la doglianza in materia di TAEG/ISC data la sua non obbligatoria indicazione nei contratti di leasing…ribadita da un recente orientamento dell’arbitro bancario finanziario”.
Il principio applicato, in dettaglio, è il seguente: “escluso che il leasing sia riconducibile alla fattispecie di mutui, delle anticipazioni bancarie e delle aperture di conto corrente ed alla categoria residuale degli altri finanziamenti” ne consegue che l’intermediario “non era tenuto all’epoca in cui è stato stipulato il contratto in oggetto della presente controversia, all’indicazione del TAEG”.
Il Giudice, nel proprio iter argomentativo, ricorda due recenti decisioni dell’ABF, che avevano fatto applicazione dei medesimi principi: ABF Milano n. 6978/2016 e ABF Napoli n. 6646/2017 “l’estensione della metodologia di calcolo del TAEG all’ISC non investe il contratto di leasing finanziario il cui ISC verrà conteggiato secondo i criteri suoi propri, e non già secondo quelli che conducono alla formazione del TAEG, in ragione della carenza dell’estensione metodologica per siffatta tipologia di finanziamento” (cfr. ABF Collegio di Milano n. 6978/2016).
Dalle succitate disposizioni si desume che le norme di trasparenza estendono il metodo di calcolo del TAEG, previsto per i rapporti di credito con i consumatori, solo ad alcuni rapporti di credito instaurati con soggetti che non abbiano, come nel caso di specie, tale natura. Si tratta pertanto di verificare se le operazioni di leasing finanziario, qual è quella oggetto della presente controversia, siano comprese nell’ambito della predetta disposizione e nello specifico in una delle categorie di operazioni previste ai fini dell’indicazione dell’ISC con le modalità di calcolo previste per il TAEG nei contratti di credito ai consumatori.
Escluse le categorie di finanziamenti specificatamente individuate (mutui e anticipazioni bancarie oltreché aperture in conto corrente) che sono chiaramente estranee alla natura delle operazioni di leasing finanziario, si tratta in sostanza di valutare se la categoria “altri finanziamenti” includa, nella sua formulazione di ordine generale, le operazioni in parola.
Chiarito questo primo aspetto, una seconda contestazione sollevata di recente – presumibilmente in conseguenza di quanto statuito dalla Corte d’Appello Torino nella sentenza n. 699/2018 – concerne la difformità tra il tasso Leasing indicato nelle schede negoziali e quello concretamente applicato nell’esecuzione del rapporto. Anche in questo caso è evidente la similitudine con quanto reclamato nei contratti di mutuo in caso di difformità tra TAEG/ISC pattuito e applicato in concreto.
Tale discrasia, nella specifica casistica, è da ricondursi al fatto che, fin dal 1 ottobre 2003 ovvero dall’introduzione dell’obbligo della indicazione del Tasso Leasing nei contratti di locazione finanziaria, Assilea ha raccomandato ai propri associati di esporre il medesimo in forma di tasso nominale.
Al contrario, nelle consulenze tecniche di parte utilizzatrice tale tasso viene ricalcolato su base composta. E’ inconfutabile come, da un punto di vista matematico, l’utilizzo di un tasso nominale in luogo di un tasso composto porti a risultati differenti seppur in misura molto modesta a livello di decimali sulla percentuale e ridotta in termini monetari.
Da tale presunta incongruità segue la richiesta di ricalcolo del rapporto con applicazione dei tassi sostitutivi ex art. 117 TUB c. 7 in luogo dei tassi convenzionali.
Preso atto di quanto sopra, a parere di chi scrive, per inquadrare correttamente la problematica e giungere alla miglior soluzione è fondamentale muovere dalla puntuale individuazione della nozione di “Tasso Leasing”. Nelle disposizioni Banca d’Italia in materia di Trasparenza viene fornita una prima definizione: “Per i contratti di leasing finanziario in luogo del tasso di interesse, è indicato il tasso interno di attualizzazione per il quale si verifica l’uguaglianza fra costo di acquisto del bene locato (al netto di imposte) e valore attuale dei canoni e del prezzo dell’opzione di acquisto finale (al netto di imposte) contrattualmente previsti”.
Anche in questo caso prima di proseguire nell’esposizione è imprescindibile effettuare una seppur breve incursione nella matematica finanziaria.
Con il termine attualizzazione si indica il processo finanziario che consente di stabilire oggi il valore attuale di un capitale che ha come naturale scadenza una data futura; tramite l’applicazione di un tasso di sconto si può arrivare ad identificare un’equivalenza finanziaria tra due capitali che hanno scadenze diverse nel tempo.
Lo sconto o interesse passivo deve essere tale per cui, capitalizzando la somma che otteniamo oggi allo stesso tasso che lo sconto ci offre dobbiamo arrivare ad ottenere il medesimo capitale dal quale eravamo partiti e avere reciproca soddisfazione da entrambe le parti.
La capitalizzazione, termine certamente ben più noto per le vertenze in ambito di anatocismo sui rapporti di conto corrente, è l’operazione con cui si calcola il valore a un determinato tempo futuro di un capitale disponibile al tempo presente e dunque il processo inverso della suddetta attualizzazione.
Rese le dovute definizioni, anche il lettore che si approccia per la prima volta alla materia è dotato degli strumenti basilari per comprendere il significato di Tasso Leasing. Ancora una volta per trovare il bandolo della matassa è utile ritornare in ambito giurisprudenziale soffermandosi in particolare sulla sentenza n. 6369/2018 resa da Tribunale di Milano. Il pensiero del giudice Dott. Tranquillo è il seguente: “Per quanto concerne invece l’allegata erronea indicazione del tasso leasing nel terzo atto integrativo, si osserva in prima battuta che una diversità del tasso leasing rispetto a quello effettivamente applicato appare del tutto fisiologica.
Il tasso leasing altro non è che il tasso cosiddetto interno di attualizzazione, per effetto del quale si verifica l’uguaglianza fra costo di acquisto del bene locato al netto delle imposte valore attuale dei canoni e del prezzo dell’opzione finale di acquisto al netto delle imposte.
Ciò premesso, una difformità tra il tasso di leasing (espresso su base annua nei fogli informativi: dove per definizione non è possibile “modulare” il tasso sulla base delle condizioni contrattuali rilevanti ai fini del tasso effettivo del rapporto, che verranno solo di seguito convenute) e il tasso effettivamente praticato (la cui indicazione non è imposta dalla legge) può dipendere da diverse variabili: dal pagamento in via eventualmente anticipata anziché posticipata di interessi, dal fatto che il pagamento avvenga con cadenza/e inferiore/i all’anno (in base quindi alla rateazione dell’obbligo di restituzione) e ancora per via del fatto che l’imputazione della rata possa avvenire tanto al capitale che agli interessi (operazione implicitamente consentita dalla legge: l’art. 3 della delibera c.i.c.r. 9.2.2000 presuppone tale possibilità).
Si tratta di elementi tutti indicati in contratto, nelle condizioni particolari.
Ciò si risolve a vantaggio della banca, con un suo arricchimento di fatto e purtuttavia non significa che vi sia stata applicazione di un tasso d’interesse difforme dal tasso annuo nominale, tenuto conto che l’indicazione relativa al tasso leasing e alla cadenza infrannuale delle rate appare in contratto, e che il resto rappresenta uno sviluppo matematico del concreto programma negoziale.
Nessuna norma impone poi di esplicitare l’operazione matematica necessaria per calcolare gli interessi”.
Anche la Corte di Appello di Venezia, con sentenza del 14/5/2019, appare allineata al Tribunale meneghino: “Sostengono gli appellanti che il contratto di leasing non contenga esatta indicazione del tasso interno di attualizzazione. Ammesso e non concesso che ciò corrisponda al vero, si deve escludere che l’errore determini la nullità parziale del contratto di leasing.
Non sussiste, infatti, una previsione normativa di nullità per tale ipotesi e non può applicarsi né il 4° co. dell’art. 117 t.u.b., il quale contempla una fattispecie di nullità, né il 6° co del medesimo articolo, che sancisce la nullità delle clausole di rinvio agli usi per la determinazione delle condizioni economiche e delle clausole “che prevedono tassi, prezzi e condizioni più favorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati”: nella specie, non vi è stata allegazione che la società di leasing abbia applicato tassi superiori a quelli eventualmente pubblicizzati e la circostanza non si desume dagli atti e documenti in causa.
Si deve poi osservare che il corrispettivo pattuito con il contratto di leasing non dipende dal tasso interno di attualizzazione.
Al contrario è quest’ultimo che, rappresentano un indicatore del costo complessivo annuo del leasing, dipende dal primo.
Ma volendo anche astrattamente ipotizzare che così non fosse e la società di leasing avesse richiesto ed ottenuto in pagamento somme di denaro superiori a quelle contrattualmente pattuite, la conseguenza non sarebbe la nullità del negozio giuridico, ma il sorgere di un diritto di ripetizione di quanto pagato in eccedenza”.
Cristallino quindi l’orientamento del Collegio Veneto, conforme alle precedenti pronunce citate laddove ritiene che non vi sia alcuna previsione normativa di nullità a sanzionare l’eventuale difformità del tasso leasing, sottolineando altresì che in tale fattispecie non possono trovare applicazione le previsioni di cui all’art. 117 TUB.
La Corte di seconde cure, tuttavia, conclude il proprio iter argomentativo prospettando una differente soluzione ove venisse dimostrata una applicazione di un tasso leasing maggiore rispetto al tasso leasing indicato in contratto.
La conseguenza di tale divergenza non sarebbe comunque – come già espresso – la nullità del negozio giuridico, ma unicamente il sorgere in capo all’utilizzatore di un diritto di ripetizione di quanto pagato in eccedenza.
Da ultimo, per completezza espositiva è doveroso approfondire le tematiche della espressa indicazione del tasso leasing all’interno del contratto e degli eventuali conseguenti profili di indeterminatezza del medesimo.
Nell’ambito della normativa sulla Trasparenza, Banca d’Italia già nel Provvedimento del 24 maggio 1992 allegò il documento “Schema di avviso sintetico per le attività di locazione finanziaria (leasing)”.
Nel citato documento non figurava il tasso, bensì – dati il canone alla firma ed il prezzo di acquisto finale in un ammontare prestabilito – l’ammontare unitario dei canoni mensili.
In buona sostanza l’Organo di Vigilanza ha recepito l’orientamento di Assilea secondo il quale le condizioni praticate nella locazione finanziaria dovevano essere espresse in termini di importo dei canoni periodici e non in termini di tasso di interesse, in quanto il canone di leasing non è il frutto dell’impiego di una somma di denaro, bensì dell’impiego di un bene.
Si ricorda, ulteriormente, come l’obbligo di indicare il Tasso Leasing nella documentazione di trasparenza e nei contratti di locazione finanziaria venne istituto con la seconda edizione delle Disposizioni della Banca d’Italia in materia di Trasparenza, emanate il 25 luglio 2003 ed entrate in vigore il 1° ottobre successivo.
La definizione del Tasso Leasing del 2003 era del tutto analoga a quella odierna, già allora si trattava di un tasso di attualizzazione.
Certamente il Tasso Leasing, per come definito, non serve a calcolare gli importi dovuti al cliente in quanto gli importi stessi sono già noti al cliente a seguito della firma del contratto, ma assolve ad una funzione meramente comparativa.
Di tale pensiero il Tribunale di Ancona con la recente sentenza del 15/10/2019: “Con riferimento alla presunta indeterminatezza dei tassi medesimi, va considerato che i contratti medesimi prevedono tutte le condizioni economiche applicate, il costo sostenuto da Esaleasing per l’acquisto dell’immobile, il maxi canone iniziale, il piano dei pagamenti relativo ai canoni periodi, il numero e l’ammontare dei canoni, la periodicità degli stessi, il corrispettivo complessivo dovuto dalla cliente, il prezzo di acquisto finale del bene, il tasso convenzionale di mora, la penale per il caso di inadempimento dell’utilizzatrice”.
Dunque secondo la richiamata giurisprudenza la corretta e puntuale indicazione nel testo negoziale della condizioni economiche con chiara evidenza del numero, misura e periodicità dei canoni di leasing al pari della clausola di indicizzazione del tasso è condizione di per se sufficientemente valida a rendere determinato il contratto sottoscritto e l’obbligazione pecuniaria intrinseca prevalendo sull’indicazione del tasso leasing che assume pertanto un mero valore formale.
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